Antonio Maglione, figlio di emigranti italiani, vive a Napoli, nel sud Italia, dal 2016. Medico Oculista, ha tra le sue passioni il giardinaggio, l’escursionismo e la ristorazione, ereditati dai genitori. Nel bel mezzo della pandemia, ha deciso di avviare un’attività di preparazione, consegna e asporto di cibo ispanico con suo fratello Henry. Questo articolo tiene conto di entrambi i progetti e fa parte di una serie di testi che verranno pubblicati in questo spazio e che tratteranno dei diversi progetti di imprenditoria gastronomica che la diaspora venezuelana ha sviluppato in Italia, come contributo che cerca di dare visibilità al opera dei venezuelani e la sua reinvenzione in queste terre.
Questo primo articolo scelto senza riferimenti geografici e storici, risponde ad un curioso e bellissimo aneddoto che vale la pena raccontare: lo scorso novembre ho letto un post nella sezione news del gruppo “Venezolanos Chéveres en Italia” che seguo su Facebook che ha catturato totalmente la mia attenzione e il mio interesse. Un venezuelano che ha introdotto e coltivato gli “ají dulce” –peperoncino dolci– a Napoli. Mi sono subito detta: Ají dulce, che meraviglia! Un ingrediente fondamentale della cucina venezuelana ancora sconosciuto in Italia,
Ho avuto l’idea di intervistare Antonio Maglione e di proporre una serie di articoli sui vari progetti imprenditoriali dei venezuelani in Italia. Ho deciso quindi di contattarlo tramite FBK per acquisire maggiori informazioni e proporgli la mia idea di intervista. Ha gentilmente risposto che coltivava peperoncino dolce come hobby e non come attività aziendale, ma che comunque ha in ogni caso un’attività imprenditoriale familiare nel ramo della gastronomi. La mia idea e l’interesse per intervistarlo ha guadagnato ancora più forza ed eccoci qui.
Antonio Maglione è uno degli innumerevoli venezuelani emigrati negli ultimi anni in cerca di migliori opportunità a fronte alla difficile situazione che sta attraversando il Venezuela. Fa anche parte delle statistiche più ricorrenti: figli d’immigrati che tornano nel paese di origine dei genitori. Figlio d’immigrati italiani –suo padre, Gaetano Maglione, originario della provincia di Avellino e sua madre Carmen, di origine napoletana– è arrivato in Italia quattro anni fa con la moglie e due figli e si è stabilito a Napoli. Di professione medico con specializzazione in oftalmologia e sua moglie, anch’essa medico specializzata in pediatria, hanno la fortuna di poter esercitare la loro professione anche in Italia.
Oltre alla sua passione per la medicina, ha tra i suoi hobbies l’escursionismo e il giardinaggio. Gli piace registrare le sue esperienze attraverso il suo canale youtube, che mi ha piacevolmente sorpreso. Proviene da una famiglia con una vasta esperienza nel settore alberghiero e della ristorazione, suo padre, che originariamente lavorava come sarto e aveva una propria sartoria, emigrò in Venezuela durante il periodo della dittatura di Marcos Pérez Jiménez, come la maggior parte degli stranieri emigrati. Andò da solo in Venezuela, poi tornò in Italia, si sposò e tornò nel Paese sudamericano.
Antonio racconta che quando aveva appena due mesi, i suoi genitori decisero di tornare in Italia e vi rimasero cinque anni. Suo padre faceva il sarto, ma dopo dello sviluppo dei grandi negozi di abbigliamento, pensava che questo mestiere non avrebbe avuto alternative, poiché le persone avrebbero già acquistato i prodotti già pronti, e così decise di cambiare completamente l’attività. Tornati di nuovo in Venezuela (1967/1968) insieme ad alcuni compagni e altri soci fondano l’Hotel Venezuela, nella città di Valle de la Pascua, stato Guárico; uno stato di pianura del Paese, che segnerà l’inizio di una nuova professione che porterà innumerevoli soddisfazioni e cambiamenti positivi nella vita dei genitori e della famiglia.
Suo padre ha lasciato un grande segno nella sua vita, quando ha parlato di lui attraverso lo schermo del computer che ci ha collegato, i suoi occhi si sono illuminati e ha disegnato un grande sorriso. “Mio padre era una persona che “guardava oltre” ed appassionata di tecnologia. Acquisì le azioni dai diversi partner fino a quando l’hotel non fu interamente di sua proprietà. L’albergo aveva un ottimo ristorante e la cucina era affidata alla mamma che la dirigeva con mano di ferro. Il ristorante aveva un bar; hanno realizzato l’isolamento acustico ed era tutto dipinto di blu, da cui il nome: The Blue Room. Gli piaceva fare le cose molto bene e che le persone avessero tutti i servizi. La sua passione per la tecnologia l’ha portato ad acquistare la prima centrale telefonica esistente in Valle de la Pascua ed a collocarla nell’hotel”, racconta orgoglioso Antonio.
Gaetano Maglione voleva fare il medico, purtroppo contrasse la febbre tifoide che fu un ostacolo a questo desiderio; il suo corpo era abbastanza indebolito, racconta il figlio, e questa avversità insieme alle responsabilità e all’urgenza di crescere la sua famiglia lo fecero diventare sarto e successivamente un uomo di hotel e ristorante di successo. «Mio padre sognava di fare il medico, poi di avere un figlio medico, ed io l’ho accontentato poichè la medicina è la mia vocazione».
Nel 1980 decidono di vendere l’albergo e rientrano in Italia per un anno; Antonio ha appena terminato le superiori e ha frequentato il primo anno di medicina al Policlinico di Napoli. Tornano di nuovo in Venezuela e investono in una nuova impresa familiare: l’Hotel Manaure a Tucacas, nello stato Falcón; nel cuore della costa del paese. “Detto da molti, era il miglior albergo, con il miglior ristorante della zona, e la cucina la gestiva mia madre. C’erano tra le duecentotrenta e le duecentocinquanta persone al ristorante che provenivano da diverse regioni del paese. Molte si fermavano lì solo per pranzare con il loro piatto preferito. Anche mio padre ci ha messo del suo installando la prima parabola satellitare dell’intera area».
Dai loro genitori hanno imparato il valore del lavoro e del fare bene le cose, “non facendole a metà; Questo è servito a tutti i fratelli, è la nostra più grande eredità e il miglior insegnamento che abbiamo trasmesso anche ai nostri figli”.
Com’è riuscito questo italo-venezuelano a coltivare con successo il peperoncino dolce nelle terre italiane? Antonio dice di essere sempre stato un appassionato di giardinaggio e voleva avere una casa con giardino, ma nella città di Caracas, dove viveva in Venezuela, viveva in un appartamento. All’arrivo in Italia, ha avuto l’opportunità di acquistare una casa con giardino che avesse lo spazio perfetto per assecondare questa passione. “Quando sono arrivato qua, ho subito realizzato il mio giardino, l’ho fatto anche con maggior piacere perché quella è l’unica volta che sono venuti i miei suoceri e l’abbiamo fatto insieme”,.
Ha iniziato a coltivare varie cose, incluso il peperoncino dolce. Questo ingrediente essenziale della gastronomia in Venezuela corrisponde a una varietà di peperoni «capsicum chinense», nome scientifico, originario dell’America Latina e dei Caraibi. Risale a più di ventimila anni fa e la sua origine è attribuita ai paesi delle propaggini orientali della Coordillera de Los Andes (Perù, Ecuador e Bolivia), che successivamente nelle esplorazioni a nord del Sud America introdussero nelle terre venezuelane; prima nello Stato di Nueva Esparta, attraverso l’Isola de Margarita (circa cinquemila anni fa), per poi spostarsi sulla terraferma.
Per chi non lo conosce, si tratta di un peperone piccolo dal sapore dolce, di colore verde, giallo, arancio e rosso, a seconda di quanto dura sulla pianta, che può arrivare fino a circa due metri. È presente in tutte le fritture e gli stufati e fornisce un sapore e un aroma caratteristici. Il peperoncino dolce corrisponde alla quarta Denominazione di Origine Controllata, D.O.C. in Venezuela, dopo Rum, Cocuy de Pecaya e Cacao de Chuao. E’ricco di vitamine A, B1, B2, B3, B6 e C, inoltre contiene grandi quantità di minerali come: fosforo, magnesio, ferro e potassio, acqua e fibre. È uno degli ingredienti che difficilmente si trova all’estero e per questo tanto desiderato e prezioso.
Antonio ha portato dei semi dal Venezuela in Italia, ha iniziato con l’essiccarli molto bene –l’essiccazione dura circa un mese e si fa al chiuso– perché se marciscono, la pianta non crescerà; poi ha proceduto a classificarli. Si è informato sul trattamento dei semi per una buona coltivazione e poi ha deciso di piantarli, il primo, tre anni fa.
Ha chiesto consiglio a uno zio contadino che gli ha detto di farlo nella stagione migliore, tra i mesi di marzo e aprile. Prima in vasi grandi, ma considerando la differenza climatica tra Napoli e il Venezuela ha deciso di utilizzare vasi piccoli e fare un semenzaio. Ciò si è rivelato più semplice e maneggevole nel loro spostamento e una volta che la pianta ha raggiunto e più o meno 2 o 2,5 centimetri li ho trasferiti in un vaso più grande. È un processo un po’ lento, tra semina, coltivazione e maturazione dei frutti possono passare dai sei agli otto mesi”.
Quando la stagione è al termine e i peperoncini sono maturi, estrae e conserva i semi, mentre congela i frutti che rimangono in perfette condizioni. Non mette pesticidi su di essi, solo acqua e protegge un po’ le piante. Attualmente può contare su una trentina di piante ad uso esclusivo della sua famiglia e regalate ad amici. “Molte persone mi hanno chiesto da molte parti d’Italia se le vendo, perché qui ovviamente non è disponibile. Ci sto pensando, ho una famiglia di contadini ed è probabile che nel 2021 faccia qualcosa”.
Coltiva il aji dulce margariteño e il llanero. Dice che, curiosamente, in Italia il peperoncino raggiunge circa il doppio delle dimensioni che in Venezuela. La ragione di questa particolarità può essere attribuita alle condizioni climatiche e alla posizione geografica, afferma. Il seme può essere seminato solo una volta all’anno e ogni anno si ripete lo stesso processo. Descrive che nascono e muoiono tanto spesso quanto la pianta di basilico. Attualmente ha nel suo giardino: basilico, prezzemolo, rucola, arancia cinese, paprika dolce e la tipica paprika piccante italiana, menta piperita.
Per quanto riguarda le differenze tra il margariteño e il peperoncino llanero, descrive che il primo ha più pieghe ed è più arrotondato, mentre il secondo è di dimensioni più lunghe e ha meno pieghe.
Descrive che salva i semi attraverso due procedure: dopo che hanno perso umidità ed i semi sono stati estratti, li congela in sacchetti ben sigillati; la seconda procedura viene eseguita utilizzando un abbattitore di temperatura (raffreddatore rapido); lo stesso che si usa nelle cucine industriali dei ristoranti, soprattutto per il pesce, –uccide i batteri, si congela a una temperatura di meno 20 gradi e in brevissimo tempo–. «È lo stesso meccanismo che si usa per i prodotti surgelati, in cui il congelamento è così veloce che oltre ad evitare la formazione di batteri non crea la formazione di macro cristalli all’interno dei peperoncini, e una volta scongelati sono del tutto simili al prodotto fresco».
Oltre alla passione per il loro orto e la coltivazione del peperoncino dolce, Antonio e suo fratello hanno deciso di correre il rischio di avviare un progetto d’imprenditoria familiare, entrambi hanno contribuito con il capitale e i loro due figli e due nipoti si prendono cura dell’azienda.
A Paella & Tapas (@apaellatapas): imprenditorialità in tempi di pandemia
Il 2 ottobre è stato inaugurato a Napoli il progetto d’imprenditoria familiare di Antonio, guidato da quattro giovani italo-venezuelani: (Andrés David, 22 anni) e (Alessandra Carolina, 16 anni) e le loro due nipoti (Carmen Rosa, 22 e Giuly Elvira, 19); tutti sono studenti.
Antonio descrive che, “tenendo conto dell’esperienza che hanno nel restauro e dell’esempio dei nonni, abbiamo avuto l’idea di progettare e uno spazio per offrire esperienze di gastronomia ispanica includendo oltre a piatti spagnoli, anche messicani e venezuelani, nella modalità consegna e da asporto, perché per questioni di costo, esigenze tecniche e di personale è più adatto alla realtà delle condizioni attuali”.
Lo chef è venezuelano e il menu è composto principalmente da paella –un’idea che dice di aver preso con suo fratello, essendo tutti amanti e intenditori di questo piatto spagnolo – e tapas, che prendono il nome da città spagnole. La cucina venezuelana comprende: tequeños (sticks di formaggio filante avvolti in impasto e fritti), empanadas (panzerotti di mais ripieni), pasticcini andini e mini arepas (panetti di mais) fritte ripiene di vari tipi di formaggi.
Tra le tapas ne spiccano due: la prima è una fusion (Spagna-Venezuela) che consiste in una tapa fredda che ha il nome di «Reina Pepiada». La Reina Pepiada venezuelana è una arepa farcita con una preparazione di pollo grattugiato, avocado e maionese, ma in questo caso la adagiano sul pane. «Conserva il sapore esatto della Reina Pepiada ma sul pane che ha un tocco di olio d’oliva.» La seconda, tapa, è la nuova «paella fritta», una piccola porzione di paella avvolta come una specie di crocchetta, che è piaciuta molto.
Antonio afferma di sentirsi molto soddisfatto perché la ricettività è stata buona. “Offriamo prodotti di qualità e un buon servizio. Indubbiamente all’italiano piace mangiare molto bene e ha un’ottima cucina. Abbiamo capito che in Italia ci sarebbe voluta una strada più lunga per capire che la arepa si può mangiare in ogni momento, per questo abbiamo deciso di proporre un menù vario e abbiamo solo la arepa come tapa e fritta”.
Per quanto riguarda la paella, viene proposta con la tipica ricetta con i frutti di mare, mista e anche in versione vegetariana. La porzione è di circa 450 grammi e la novità è che si può ordinarne anche una singola. Dalle quattro porzioni in poi si serve direttamente nella padella per paella.
Afferma che la situazione della pandemia di Covid-19 in Italia li ha portati a rallentare i loro ritmi, tuttavia sono soddisfatti e sono concentrati sull’introduzione di novità nel 2021. “Vogliamo fare ‘il giorno di la arepa’, dove verranno vendute arepas ripiene e nel menù includeremo anche l’opzione dei dolci venezuelani: quesillo, bienmesabe e Tres Leches ”.
Quasi per concludere l’intervista, è apparsa una bellissima Golden Retriever di nome Ávila; lo stesso nome della formazione montuosa, dichiarata Parco Nazionale, che ospita la città di Caracas. Antonio Maglione; un venezuelano figlio d’immigrati italiani tornato nel paese di origine dei genitori, ma che conserva amore e gratitudine per il suo paese natale.